Mosaico dei giorni
Il nostro primo giorno a Kabul
2 settembre 2011 - Tonio Dell'Olio
La pioggia con cui Kabul ci ha accolto all'aeroporto ieri mattina è insolita per questo periodo nell'anno. E quanto vorrei fosse una pioggia purificatrice delle violenze, dei fanatismi, della guerra e della sua idiota ideologia... di ogni cosa che ha a che fare con la distruzione dell'umanità di questa gente che abbiamo solo cominciato ad incrociare. E poi soldati e polizia molto armata dappertutto. Palazzi fortificati da cinture di cemento e sacchi di sabbia. Ma non mi interessa fare un diario. Gli aquiloni ci sono davvero e sono tanti. Li fanno volare i bambini dai cortili, dalle strade, dai tetti delle case. Siamo una delegazione di otto persone. Tra noi c'è Paul, portavoce del coordinamento dei familiari delle vittime dell'11 settembre. Sin dall'inizio hanno fatto sapere di non credere nella guerra come risposta alla tragedia di dieci anni fa. E di questa guerra sono stanchi tutti. Tutti tranne quelli che ne ricavano profitti. Abbiamo cominciato a parlare con i rappresentanti di associazioni di cooperazione umanitaria, dei diritti umani, delle donne... la sensazione comune è che dopo dieci anni, di questa guerra si sia perso il bandolo. Nessuno più la vuole, ma nessuno ha il coraggio di dire basta. Se non la gente.
Mosaico dei giorni
Kabul dieci anni dopo
5 settembre 2011 - Tonio Dell'Olio
Kabul sarebbe una città bellissima. Ma oggi è ancora tutta da sognare. E da disegnare. Come l'intero Paese. Siamo alla vigilia del decimo anniversario dall'inizio dei bombardamenti e dalla presenza straniera sulla propria terra e nessuna delle persone che abbiamo incontrato ha espresso una sola parola di soddisfazione. Delusi, amareggiati, arrabbiati... gli afghani. Gente comune e rappresentanti di organizzazioni civili. Ma anche diplomatici e responsabili di istituzioni. Si sarebbe potuto fare tanto. Costruire. In tutti i sensi. E invece si è perso tempo prezioso. È stato dato appoggio e spazio ai "signori della guerra", alla corruzione dilagante che erode risorse e speranze. All'oppio che ora scorre anche nelle vene dei giovani afgani e corre con i narcoafgani ben oltre i confini nazionali. Alle rancorose e ataviche divisioni tribali. In nome della sicurezza da garantire a se stessi, chi doveva incontrare, ascoltare e aiutare la gente, è rintanata in bunker che non riesco nemmeno a descrivere. Ma Dio, che da queste parti invocano con un nome diverso dal mio, non è sterile. Ha messo nel cuore di qualche donna e uomo di questa terra la sana inquietudine che non si piega alla rassegnazione. Sono donne e uomini che non hanno mai smesso di contribuire a piccoli passi alla promozione delle donne, a denunciare la corruzione, a promuovere i diritti umani, a informare senza padroni. Una luce diversa da quella delle esplosioni e dei bombardamenti. L'altra faccia di una terra che sarebbe bella.
Mosaico dei giorni
La normalità della paura
6 settembre 2011 - Tonio Dell'Olio
Che la guerra è una brutta cosa lo leggi negli occhi della gente che abita a Kabul. È brutta la guerra. È brutto il terrore. È mostruosa ogni violenza. È brutta la paura. Si affollano le strade e i mercati per vincere con la normalità ciò che normale non deve diventare. Perché dopo dieci anni di convivenza con la paura... poi finisci che ci fai l'abitudine o che diventi "normale" e allora meglio addomesticarla. Dire che può capitare. Come un evento naturale. E naturalmente tornare alla vita quotidiana. Con il traffico, i venditori, gli aquiloni, i sacchi di sabbia e le barriere di cemento ai ministeri e alle ambasciate. La delegazione della Tavola della pace che in questi giorni ha visitato Kabul si è immersa in questa "normalità" per comprenderla e per intravedere, con gli occhi dei suoi abitanti, se non ci sia (dopo dieci anni) un parto nuovo che è possibile provocare. Una "exit strategy" dalla paura per tutte e tutti e non solo per la presenza militare straniera. Perché sarebbe un fallimento per tutta la comunità internazionale andarsene via lasciandosi alle spalle la normalità della paura. Certo che ci vuole coraggio a dialogare con tutti! Ma è l'unica strada. E generare un nuovo tipo di sicurezza.