Non basta la latitanza di opportune e giuste politiche per la famiglia a spiegare l'inverno delle nascite. Non basta, perché se no non si spiegherebbe come mai si facevano più figli quando il welfare per la famiglia non si riusciva nemmeno a immaginare.

La drastica diminuzione dei bambini è un segnale assai triste e, per certi versi, drammatico. È il rifiuto di intere generazioni a stare in piedi e a guardare avanti. Indica la paura del futuro e la sfiducia nel domani. E lo sappiamo che le ferite si rimarginano solo se l'organismo è in grado di produrre un tessuto nuovo. E oggi noi siamo una società dalle ferite aperte che non riesce a passare il testimone della vita agli altri e si incurva pericolosamente e narcisisticamente su di sé. Invecchiare non è un dramma. Lo diventa quando ci si piega sotto il peso degli anni senza qualcuno pronto a sostenere il passo, pesante e incerto, degli anziani. E senza voler giudicare, ciascuno interroghi la propria coscienza per valutare quant'è la dose di egoismo nel rifiutarsi di dare vita alla vita, nel sottrarsi alla cura dei piccoli, nel voltare le spalle al naturale cammino del mondo. E trovano eco le parole del Salmo: "Ecco, i figli sono un dono che viene dal Signore; il frutto del grembo materno è un premio. Come frecce nelle mani di un prode, così sono i figli della giovinezza. Beati coloro che ne hanno piena la faretra! Non saranno confusi quando discuteranno con i loro nemici alla porta" (Salmo 126).


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