A Natale i bambini devono nascere e non morire. E potrà sembrare un'affermazione amara e contundente ma di fatto non riesco a distogliere lo sguardo della mente dai due bambini di 4 e 2 anni morti qualche giorno fa nel campo rom di Stornara (FG).

Se ne è parlato giusto lo spazio di un telegiornale o di una colonna su un quotidiano. Bambini senza nome e senza storia. Vite senza chiasso. Avrebbero dovuto sollevare l'indignazione e la richiesta di tutti i passi necessari perché mai più possa ripetersi un dolore così acuto, una vergogna profonda, una sconfitta. Ma come si fa a celebrare la vita quando i bambini muoiono in baracche senza asini e buoi o oltre i fili spinati al freddo e al gelo? E non è solo il fallimento di una politica! È un baratro dentro il quale stiamo precipitando. La direzione opposta a quella del sogno di Dio. Perché a Natale si celebra la vita, la nascita e i vagiti e non il funerale anonimo e silenzioso di chi aveva gli occhi spalancati sul mondo. Ciascuno nasce con un sogno. Ha ragione papa Francesco: "Non sappiamo più piangere", non ci riusciamo più. Se fossimo raggiunti da una scheggia di quel dolore, ne proveremmo l'amarezza che porta almeno a dire che non è giusto e andremmo decisamente verso tutte le grotte e le capanne alla ricerca di una speranza nuova. 


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