Se arrivasse un visitatore da un altro pianeta e, tra le altre cose, si appassionasse ad apprendere i principi e la grammatica della democrazia, si farebbe di certo una grassa risata nell'assistere al teatro quotidiano che va in scena per l'elezione della carica più alta del nostro ordinamento di democrazia parlamentare.
"Ma che democrazia è mai questa?" - chiederebbe incuriosito e divertito l'ospite. Sarebbe certo d'essere capitato in un Truman show. Trattative private e, spesso, nascoste. Tattiche per bruciare nomi alla vigilia e calare l'asso dopo la terza o quarta o quinta votazione. Intese da briscola e abilità da bridge, autocandidature narcisistiche, calcoli sulla temibile fine della legislatura e delle relative prebende e poi nomi di attori, comici e subrette. Di tutto di più, tranne l'accenno timido di un dibattito parlamentare, aperto e trasparente, sulle prerogative, le qualità, le competenze che sarebbero richieste alla persona che andrebbe a garantire proprio quella democrazia tradita e che rappresenterà il nostro Paese per i prossimi sette anni. I living televisivi appaiono come tristi surrogati dell'aula. È la resa senza condizioni alla pretesa inaffidabilità della democrazia e dei suoi organi, Parlamento in prima fila. Vuol dire rassegnarsi che "così vanno le cose". E lo dico anche per chi sarà eletto o eletta. Che figura ci fa?