Innanzitutto i nomi: Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. Perché i nomi sono importanti per non consentire a nessuno di trasformare gli altri in un simbolo disincarnato,

in una nicchia di eroismo, in una scatola di naftalina da tirar giù dalla soffitta a ogni anniversario. Non c'è altro modo di onorare quella memoria che ottenere verità e giustizia. Eppure man mano che passano gli anni, sbiadisce anche quello scampolo di possibilità di rispondere in modo coerente: chi, perché, su ordine di quali poteri? E, insieme a quelle, rispondere alle domande più difficili sui depistaggi di giudici che si fa molta fatica a definire colleghi di Falcone e Borsellino. E poi ascoltare in profondità quell'invito dell'arcivescovo Corrado Lorefice: "Se vogliamo cogliere il senso di una ricorrenza senza cadere nella retorica, dobbiamo intendere la memoria come una provocazione che riguarda ognuno di noi da vicino e ci chiama a coinvolgerci in un progetto di liberazione". Senza retorica. Come avrebbero voluto proprio loro. Quei nomi, quelle vite, quel grido verso il cielo e verso le nostre coscienze.