Quando le vittime non hanno nome, semplicemente non esistono. È per questo che i nazisti sostituivano immediatamente l'identità anagrafica degli internati dei campi con un numero tatuato sull'avambraccio sinistro. 

Loujin Ahmed Nasif invece un nome ce l'ha – eccome! – e aveva anche i suoi quattro anni. Anche lei scappava dalla guerra, quella della Siria, come le bambine e i bambini ucraini. Chi vive la condizione della guerra deve essere prelevato da casa e aiutato a mettersi in salvo, dev'essere accolto e non criminalizzato, riconosciuto. Già, con un nome e un cognome. Chi scappa dalla guerra, da ogni guerra. Da ogni punto della terra e da ogni tipo di guerra. Va accolto chi scappa dalla fame della guerra e chi scappa dalla guerra della fame. Senza distinzioni. Loujin Ahmed Nasif aveva quattro anni e tanta sete e tanta fame su un peschereccio alla deriva da dieci giorni. Sarebbe bastato poco per trarla in salvo insieme agli altri 60 che condividevano la stessa sciagurata odissea. Ma il mondo aveva occhi (e lacrime) solo per la regina d'Inghilterra. Come un'interminabile litania vorrei provare a ripetere il nome di Loujin Ahmed Nasif. Perché se non si è salvata dalla mancanza d'acqua, almeno si salvi dalla mancanza di memoria. E di umanità.


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