Cos'altro deve succedere per capire che ormai da troppo tempo abbiamo imboccato (e stiamo percorrendo) la strada peggiore?

Quello che è successo a Sebastian Galassi, 26 anni, e alla sua famiglia non è soltanto una disgrazia con epilogo ancor più tragico ma l'icona perfetta della condizione perversa che siamo stati capaci di stabilire anche nei rapporti di lavoro. Sebastian, che lavorava nelle consegne a domicilio per conto di Glovo, muore mentre svolgendo il suo lavoro di rider la sua moto si scontra frontalmente con un suv. A breve distanza di tempo dalla sua morte, la famiglia riceve un'e-mail dall'azienda in cui si comunica che per non aver rispettato le condizioni e i termini di lavoro sottoscritti, viene disattivato il suo account, ovvero è licenziato. Le scuse successive del datore di lavoro appaiono peggiori del male prodotto: il sistema algoritmico fa scattare quella comunicazione se il lavoratore manca le consegne o non risponde alle chiamate. È esattamente in questo modo che abbiamo consacrato l'annullamento dei volti e delle relazioni. Abbiamo staccato la spina all'umanità. Uno scivolamento lento e apparentemente inesorabile verso l'algoritmizzazione della vita. Sebastian perdonaci.


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