A quelle donne uccise due volte. Prima dal compagno e poi dalle parole del giorno dopo.

E a quelle colpite dal "victim blaming" che è la colpevolizzazione della vittima che magari non è semplicemente una donna ma una "prostituta" oppure una "separata" o altri stereotipi e pregiudizi in cui l'aggettivazione ruba il posto alla dignità. A quelle donne che pensavano di essere vittime di una violenza e si ritrovano protagoniste del surrogato di uno spettacolo. A quelle donne che un "raptus" o la "gelosia" o la "non accettazione della separazione" sembrano vittime di un impulso astratto e non di un uomo violento. A quelle donne che erano state considerate un po' esagerate quando per la prima volta, con le lacrime agli occhi e i lividi da ogni parte, hanno avuto il coraggio di denunciare. A quelle donne che non ce la fanno perché "denunciare è peggio che tradire" e soffrire per mano di un uomo violento è un "segno di amore". A tutte quelle donne che non sopportano più le virgolette, le definizioni e le interviste indagatorie tra i vicini di casa che "sembravano tanto brave persone". Un abbraccio senza corsivi, aggettivi e pietismi. Un abbraccio.


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