Il regime di Teheran è agonizzante. Clinicamente morto. Ve ne sono tutti i sintomi. La storia insegna che non è mai successo che un intero popolo si sia ribellato per poi essere sconfitto.

L'uso di una violenza senza precedenti da parte di una dittatura è un chiarissimo segno di debolezza e declino. Teocratico o totalitario che sia, un regime nella sua fase trionfante si regge sulla propaganda ideologico-religiosa che plasma le coscienze dei suoi sudditi tenendoli in pugno con la sola forza del fanatismo identitario. Paradossalmente anche la dittatura – in forma differente dalla democrazia - ha bisogno fatalmente del consenso del popolo. Quando ha bisogno di reprimere le rivolte nel sangue, di comminare pene di morte agli oppositori, di minacciare e seminare il terrore, vuol dire che è un malato allo stato terminale. Nel caso della teocrazia sciita iraniana non si deve dissertare sul fatto che cadrà, ma piuttosto sul quando questo avverrà, ovvero su quanto durerà ancora, su quanti sacrifici umani richieda il suo delirio. A decidere di staccare la spina è la comunità internazionale. Si sceglie di approfittare dei saldi di fine stagione per aggiudicarsi commesse appetitose in cambio di silenzi e sostegni camuffati, oppure con tutta fermezza si decide di sostenere l'aspirazione alla libertà, alla vita, alla dignità riconosciuta di un intero popolo?


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