Continuare a raccontare la galleria degli orrori delle carceri iraniane e dei loro torturatori, corrisponde a una sorta di perpetuazione della violenza.

È come dare ancora maggiore eco all'intenzione che la violenza operata si prefigge: scoraggiare, minacciare, spaventare. Rispetto all'abbondanza di dettagli macabri che in questi giorni viene riversata dai notiziari di tutte le specie, dovremmo piuttosto essere in grado di mettere in evidenza la determinazione, se non l'eroismo, di giovani donne e di ragazzi, che proseguono in quelle proteste nonostante tutto. A questo punto, nella vulgata si ripete: "con sprezzo del pericolo". A me sembra piuttosto che il desiderio di libertà e la volontà di scrollarsi di dosso l'oscurantismo di un regime tanto oppressivo, appaiono molto più grandi del pericolo. Ad aumentare il disprezzo verso gli operatori di violenza di quel lembo di mondo è pretendere di farlo in nome di Dio, nell'illusione di rendergli un servizio, un favore. È l'aberrazione secondo la quale anche la messa a morte di un ragazzo, l'uccisione di una giovane o il suo stupro, diventino un culto a Dio. "È lui che ce lo chiede" – si ripete. E allora provate a dileguare quella nube triste di un Dio violento usato come coperta della vostra ipocrisia e del sadismo di cui vi compiacete. Dio non chiede sacrifici umani, non sa che farsene di credenti convertiti a forza e disprezza chi nomina il suo nome invano.