Sfogliando le homepage dei quotidiani online di questa mattina mi accorgo che ormai il Festival ha soppiantato il terremoto.
La tragedia immane di quell'angolo popoloso di Siria e Turchia è scivolato in fondo. Al sisma che fa tremare la terra e le case, segue quello che scuote le parole e poi le fa cadere come lacrime inutili verso le pagine interne. Mi dico che forse non si può fare diversamente ma non riesco a rassegnarmi alla logica del "the show must go on" e che la notiziabilità sia data dal dibattito e dalla simpatia che le notizie riescono a sviluppare e non dall'emergenza umana che rivelano. E sì, perché mentre lo sciame sismico si dirada, non si placa affatto il dolore di chi ha perso le persone più care e non termina il dramma di chi è rimasto senza casa e senza un rifugio sotto zero per strada. E allora mi piacerebbe che ogni testata scegliesse un corrispondente tra i responsabili di una struttura di aiuti umanitari o una persona affidabile di una delle città terremotate per continuare a monitorare quotidianamente e, almeno per un anno, il dramma e le speranze. Un box fisso come fosse una rubrica in cui si dica quel che avviene dopo, quando le fotoelettriche dell'informazione si spengono e le luci dell'Ariston di turno luccicano.