Ieri è stata presentata al Parlamento la relazione semestrale della direzione Investigativa Antimafia che, come sempre, è una radiografia attenta della presenza mafiosa nel nostro Paese.

Non mi pare però che siano emerse novità sensazionali quanto conferme di quella "mafia liquida" che oggi è più diffusa e meno riconoscibile. "La criminalità organizzata preferisce agire con modalità silenziose, affinando e implementando la capacità d'infiltrazione del tessuto economico-produttivo" – si legge nella relazione –, usando le "complicità di imprenditori e professionisti, di esponenti delle istituzioni e della politica formalmente estranei ai sodalizi". Le mafie si sono fiondate come sciacalli sui "progetti di rilancio dello sviluppo imprenditoriale nella fase post-pandemica", e sui "finanziamenti europei tramite i noti fondi del Pnrr". Insomma niente di nuovo se non il richiamo ad affinare il fiuto investigativo economico ma anche sociale. Una mafia che fa meno paura perché non ricorre alla violenza con la stessa frequenza di prima ma condiziona la nostra vita senza disturbare più di tanto e, quel che è peggio, riuscendo persino gradita a chi mette al primo posto in assoluto il profitto a tutti i costi.


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