"Non è razzismo, sono solo insulti!". È questa la risposta più frequente che si riceve da alcuni settori delle tifoserie e persino da dirigenti dei club blasonati.

Talvolta non lo dicono ad alta voce per essere (o apparire?) politically correct, ma sono certo che lo pensano. E il motivo è semplice: siamo abitati da una idea di razzismo che si è surgelata al Ku-Klux Klan e siccome i tifosi che fanno cori anonimi e vigliacchi non indossano i cappucci bianchi, non sono razzisti. E allo stesso modo si pensa che se non inveiscono contro i neri ma contro i gay non è razzismo. Se non sono suprematisti bianchi ma semplicemente scemi, non sono razzisti. E invece sono razzisti eccome. Anzi ne costituiscono la peggiore delle involuzioni estensive perché individuano nuove categorie di umanità contro cui prendersela. Gli episodi che riguardano Lukaku, Vlahovich e altri calciatori di serie A sono solo le vergogne più conosciute. Nei campetti di periferia avviene molto di peggio. Pertanto sbaglia chi afferma: "Non è razzismo, sono solo insulti!". Sono "insulti razzisti".


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