Ieri ricorrevano i 10 anni dalla morte di don Andrea Gallo. Restano ancora più vere e sincere le considerazioni di 10 anni fa.
Don Andrea è stata la provocazione fatta carne. Avendo sposato indissolubilmente il Vangelo "sine glossa" di Gesù Cristo non poteva essere altro che sassolino nelle scarpe di borghesi e benpensanti. A cominciare da quelli che pensano di poter coniugare quel Vangelo con una coscienza tranquilla e talvolta compiacente. Don Andrea ha sempre camminato "in direzione ostinata e contraria". Ha unito sempre l'annuncio alla denuncia. Mai generica e sempre scomoda. Mai salottiera e sempre sigillata da un impegno sulla strada. Con gli ultimi, scarto scandaloso dell'ingiustizia, della diseguaglianza, del disagio. Non è vero che siamo orfani. Quella profezia ha avuto il coraggio e la sapienza di seminarsi nel terreno della vita di tante e tanti. Il porto di Genova e i suoi carruggi portano impresso a sigillo i suoi passi e le sue parole. Eco che non può essere soffocato, voce che si sottrae alla confusione, pentecoste che si rinnova, soffio di vita nuova anche quando un uomo muore senza spegnersi. Don Andrea è lì. Con il suo sigaro e il suo sorriso, con la sua parola graffiante e la sua verità senza sconti, con la sua analisi spietata e la sua speranza sempre oltre la nostra. E non è l'illusione degli irriducibili. Piuttosto si tratta di una vita forgiata a Vangelo che non smette di vivere solo perché è morta.