Ieri mi è capitato di accogliere e accompagnare in Assisi 21 monaci buddhisti thailandesi. Volevano conoscere Francesco d'Assisi.
Cosa li attirasse è difficile da descrivere ma è certo che nutrivano come una nostalgia dell'anima che voleva dissetarsi alla fonte di una spiritualità tanto profonda quanto diffusa nel tempo e nello spazio. Espressione della tradizione Theravada, non provenivano semplicemente dalla Sangha della Tailandia, ovvero dalla comunità dei credenti di quella nazione, erano i massimi rappresentanti della massima istituzione religiosa del Paese, il Tempio del Re (Wat Pho). Hanno incontrato autorità religiose e ascoltato descrizioni di affreschi e opere d'arte, hanno visitato i luoghi più significativi della vita di Francesco ma soprattutto hanno pregato. Hanno pregato benedicendo. Hanno pregato davanti alla tomba del poverello di Assisi e nella Porziuncola cantando il mantra proprio di ogni buddhista: "Che tutti gli esseri viventi trovino la pace". Una preghiera che non è rivolta a Dio ma a sé stessi. Ed è stato proprio bello sentire risuonare in una Basilica la nenia di quel mantra vestito di arancione che mendica la pace come bene assoluto degli uomini e della terra.