A guardare l'anniversario della strage di via D'Amelio dallo spioncino del giorno dopo capisci tante cose.

Nel frattempo si sono spenti i clamori, i discorsi roboanti dai palchi, i viaggi in aereo per dire che "io c'ero", le interviste tutte "imperdibili", i cortei e le preghiere. Non voglio dire polemicamente che tutto è ridotto allo zerbino della circostanza e che nessuno ci creda. Nient'affatto! Chi sono io per giudicare? Mi riferisco soltanto al silenzio del giorno dopo. Quello che ti da' modo, se non di meditare, almeno di riflettere con più profondità. E penso ad esempio agli strumenti in più (e non in meno) che il giudice Borsellino avrebbe voluto ottenere dalle riforme della giustizia che si sono succedute in Italia. Penso alla convinzione tanto profonda che aveva maturato di quel legame stretto tra politica e mafie. E rifletto sulla denuncia della corruzione che egli continuamente indicava come uno dei tratti costitutivi di Cosa nostra. Alle organizzazioni a delinquere di stampo mafioso nulla sarebbe possibile senza lo strumento della corruzione. E non voglio dire che di tutto questo, ieri, non ne abbiano parlato tanto gli esponenti delle forze di governo che quelle dell'opposizione ciascuno a modo proprio! Ma la sensazione che se ne ha è che ci si dia l'appuntamento all'anno prossimo. Lo prevede il rituale.