A dieci anni dalla sua scomparsa ai nostri occhi, quella di Paolo Dall'Oglio è diventata una presenza esigente.

La radicalità della sua scelta dice con voce di canto liturgico che il dialogo e l'incontro tra le fedi non può più essere solo oggetto di riflessione convegnistica e disciplina di accademia ma deve profumare di vita. Intreccio di riti senza alcun sincretismo per assaporare piuttosto il gusto di attingere alla sapienza altrui e naufragare nel canto del gregoriano come in quello dei Sufi. È provare a scrostare il calcare della diffidenza che separa, per prendere il coraggio di guardarsi negli occhi. Sì, Paolo ha osato oltre il pregiudizio e i canoni restrittivi e respingenti. Paolo insegna ancora oggi a scovare con pazienza diuturna la verità che non ha un unico civico nella storia né scrigni privilegiati. Paolo Dall'Oglio ha elevato a poesia anche il groviglio delle incomprensioni e dei contrasti e ha indicato la via della conversione dei cuori. Talvolta è solo silenzio. Per lasciare la parola al Dio chiamato con mille nomi e invocato in tante lingue diverse. Ed è in questo protendersi generoso e accogliente che si raccoglie la sua lezione di vita e di fede. A noi non resta che ascoltare e muovere il passo nella stessa direzione. Con coraggio profetico.


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