(da Lucio Caracciolo, La Stampa del 16 settembre 2023)
Noi europei guardiamo l'Africa dall'alto in basso. Se la guardiamo. Non solo perché il canone cartografico disegna l'Africa sotto l'Europa.
È che ci pretendiamo superiori agli africani in ogni senso. Verità che non merita spiegazione. Postulato che può al meglio volgere in esotismo - hic sunt leones - al peggio in sfruttamento bestiale di popoli e risorse, quasi gli africani fossero cose a disposizione. Complesso di superiorità strutturato attorno all'essenzialismo più sfrenato: noi siamo nella Storia, voi non ci siete mai entrati; noi benestanti evoluti voi poveri arretrati; noi nazioni voi tribù. Insomma: noi bianchi voi neri. Razzismo istintivo, talmente immediato e spontaneo che stentiamo a percepirlo tale. Inasprito dal politicamente corretto che vorrebbe mascherarlo mentre perpetua il sentimento da velare.
Niente da fare: «Il Nero non è un uomo, il Nero è un uomo nero». Così Frantz Fanon, genio martinicano, settant'anni fa si lacerava sulla nevrosi della persona di colore davanti allo sguardo bianco del colono che lo rendeva prigioniero. Sicché aspirava alla "lattificazione". Avrebbe voluto sbiancarsi, coprire pelle nera con maschera bianca. Fanon aspirava a liberare l'uomo nero da sé stesso. Essere riconosciuto dall'uomo bianco e così riconoscerlo. Dialettica della condizione umana: il razzismo cancella la persona, che il colono riduce al valore d'uso che può estrarne.