Quanto vorrei abbracciare uno per uno i 36 rabbini americani che ieri hanno fatto irruzione nel Palazzo di Vetro per inscenare una protesta nell'aula del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
e nell'aula dell'Assemblea generale e chiedere "l'immediato cessate il fuoco a Gaza". Hanno mostrato striscioni con l'invito al presidente degli Stati Uniti a "smettere di porre il veto alla pace". La protesta è stata portata avanti da alcune organizzazioni pacifiste ebraiche come "Rabbis 4 Ceasefire" e sostenute da "Jews For Racial & Economic Justice", "Jewish Voice for Peace" e "IfNotNow". Hanno cantato, pregato e recitato estratti presi dalla Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite, e tenuto uno "Yizkor", una preghiera per ricordare le vittime del conflitto. È esattamente ciò di cui abbiamo bisogno: rompere le righe che ci vedono intruppati in formazioni preordinate. Stare dalla parte della pace richiede il coraggio di risalire le correnti, talvolta di alzare la voce e soprattutto di guardare il mondo con lo sguardo delle vittime. È scolpito a chiare lettere nei libri sacri. E i rabbini lo sanno. Sparuta minoranza come i 12 docenti universitari che si rifiutarono di giurare devozione "alla Patria e al Regime Fascista" nel 1931 e, per questo, furono licenziati. Erano 12 su 1225 ma non lo considerarono un buon motivo per voltare le spalle alla coerenza e alla responsabilità di fronte alla storia.