Quando nella nebbia si apre un varco ed entra appena un po' di luce, il respiro torna a farsi regolare e la tensione si scioglie perché finalmente si ritrova la strada.

Questo avrei pensato al momento della stretta di mano tra la sedicenne ucraina Elizaveta Kotlyar e la sua avversaria russa Vlada Minchova, al termine del loro incontro di primo turno all'Australian Open Juniores. Significava restituire il senso allo sport secondo la sua stessa natura. E invece sulla povera ragazza ucraina si è abbattuta una valanga di critiche e contestazioni che ha interessato persino il governo del suo Paese. Tanto che, sia la tennista quanto suo padre, hanno dovuto chiedere scusa pubblicamente definendo la stretta di mano un atto emotivo e involontario dovuto anche alla giovane età della tennista. Possibile che la guerra e il suo fetore di morte debbano investire obbligatoriamente tutti i pori della vita e non lasciare almeno una zona franca? Senza scomodare l'antica Grecia e le sue Olimpiadi, basterebbe sottrarsi alla cecità della violenza per benedire quella stretta di mano e augurarsi che fiorisse in un percorso di pace.


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