Serpeggia nei luoghi che non diresti e si muove come una tentazione subdola e suadente. Non si tratta di perdere la speranza quanto piuttosto di una stanchezza della speranza che rischia di diventare cronica.

Forse perché abbiamo creato società a vocazione aziendale che misurano ogni cosa dai risultati che si producono. "Le chiacchiere stanno a zero" – si dice. Ed ecco, la speranza è archiviata più tra le "chiacchiere" che tra i propulsori o il combustibile del cambiamento. La stanchezza della speranza è sentimento di cui si può comprendere il perché e la radice, ma non può essere assecondato come un dato ineluttabile. Ancora una volta ci troviamo a dar ragione a Pasolini che spesso parlava d'anticipo e, per questo, non poteva essere compreso quando diceva che non riusciamo ad educare alla sconfitta. E forse proprio questa è la differenza tra il manager e il profeta. Il primo amministra l'esistente per garantire successo ed evoluzione di tutto ciò che si trova nel recinto delle sue competenze e del suo profitto. Il profeta non vede gli steccati e irriga di sogni un domani migliore per tutte e tutti. Certo, anche lui avverte la stanchezza della speranza. Anzi lui l'avverte molto di più come una tentazione e un peccato, ma considera la sconfitta – anche quando è dolorosa come una ferita – come parte di un cammino che porta molto più lontano. Ecco questo è ciò che chiamiamo speranza.


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