"La zona d'interesse", il film che si è aggiudicato la statuetta dell'Oscar come miglior film internazionale, è una storia sull'orrore di Auschwitz e sullo sterminio scritta in punta di piedi.

Nessuna scena di quelle atrocità viene mostrata. Si intuiscono. Mentre "La vita è bella" aveva scelto il registro inedito dell'ironia e dell'umorismo, questo film dice quella che noi definiamo disumanità, lasciando parlare un'umanità (forse solo apparente) che sopravvive nei carnefici e nei loro complici del silenzio. In questo senso è una provocazione a smascherare anche i silenzi di oggi che si tingono di complicità e a togliere il velo dall'indifferenza o dall'interesse con cui riusciamo a convivere con catastrofi, sconfitte dell'umanità e ingiustizie. Merita d'essere visto proprio perché ci aiuta a considerare come anche l'atrocità si rivesta di normalità fino a farci affermare quella che Anna Arendt aveva ben definito "banalità del male". Si può essere addirittura felici, e il regista impiega colori, bellezza, sfarzo, abitudini, silenzi, mentre al di là del muro si sta consumando la peggiore delle tragedie del secolo scorso. Ieri come oggi, nessuno potrà giustificarsi dicendo: non lo sapevo.


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