Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi sono due registe già ben affermate. Il primo è israeliano e la seconda è iraniana. Insieme (e sottolineo insieme) hanno realizzato un capolavoro in bianco e nero dal titolo Tatami. Lo sport è l'unità di misura della trama per raccontare la soffocante mancanza di libertà che, nel regime degli ayatollah, si abbatte soprattutto sulla vita delle donne.

Guardato nello stesso giorno del pauroso allargamento del conflitto israelo-iraniano, crea un disagio ancora più grande perché ci dice la misura del mondo. Il film peraltro racconta delle pressioni e delle minacce che una donna iraniana subisce dal regime perché rinunci ad affrontare in combattimento una judoka israeliana. Come sapete il tatami è il nome del quadrato di competizione del judo dove a competere sono solo due donne, ma in realtà quel tatami è il perimetro del mondo. Nel film in realtà la protagonista si trova a dover affrontare molti avversari contemporaneamente, nello sport e nella vita. È sola. E forse il messaggio in bottiglia della pellicola è di non permettere che chi cerca la libertà, il riconoscimento dei propri diritti e l'affermazione della propria dignità, sia mai lasciata sola. Come non va abbandonato a sé stesso il conflitto in corso tra Israele e Iran tant'è che avvertiamo la latitanza di organismi internazionali autorevoli ed efficaci, come una sete.


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