"Perché imparare l'acca se non si pronuncia?" scrive Mary in un post su Twitter. E sembra solo una battuta, ma non lo è. Dietro la mutina – così la chiamavamo alle elementari – c'è un mondo. Dentro la mutina c'è un mondo. Perché quella consonante muta è la portabandiera della folla dei senzavoce.

Ma non è affatto vero che non serva a niente perché non si può leggere una parola e un testo senza il segno dell'acca che impone i suoi suoni e cambia quasi magicamente un "ci" in "chi" e un "c'è" in "che", richiamando all'esistenza qualcuno o qualcosa. C'è poco da dire ma quello dell'acca è un servizio tanto umile quanto prezioso alla faccia dei suoi denigratori che hanno coniato il detto "Vali meno di un'acca". Ha ragione Rodari nella sua splendida "L'Acca in fuga" in cui fa splendere l'importanza dell'apparente inutilità di quella lettera. Per questo bisogna trattarla con rispetto. Come tutto ciò che apparentemente è inutile ma che ha un proprio posto e un proprio compito che non sempre tutti riconoscono ma che è servizio, talvolta indispensabile. Attenti, pertanto a trattar con superficialità i senzavoce perché forse non cambieranno la storia ma hanno il potere di riconoscere le "chiacchiere" mascherate da "dichiarazioni" solenni e apprezzare la "chiarezza" di una parola sincera. 


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