I collaboratori di giustizia ci hanno indicato con precisione che la maniera dei mafiosi di riferirsi alla strage di Capaci era "l'attentatuni", letteralmente il grande attentato. Si puntava a realizzare un gesto eclatante e spettacolare e non semplicemente a liberarsi del giudice Falcone.

Giovanni Falcone a quel tempo lo si vedeva girare spesso per Roma senza scorta e non sarebbe stato difficile ucciderlo. La voragine sull'autostrada segnava invece la potenza di fuoco di un'organizzazione parallela allo Stato che aveva il potere di vendicarsi, incuteva timore e non tollerava avversari che potessero contrastarne l'affermazione, il radicamento e la diffusione. Trentadue anni fa Falcone, Morvillo, Dicillo, Schifani e Montanaro divennero vittime sacrificali offerte sull'altare perverso del delirio mafioso del potere e non solo della ricchezza. Oggi le mafie di tutto il mondo perseguono gli stessi obiettivi ma spesso mostrano di aver appreso a farlo secondo modalità molto più discrete e vantaggiose. Per questo oggi contrastare le degradazioni del potere in tutte le sue forme, perseguire la prassi pervasiva della corruzione, smascherare la narrazione bugiarda secondo cui la ricchezza è il paradiso terrestre, significa contribuire a sbarrare la strada alle mafie. È la forma che anche le vittime di 32 anni fa ci avrebbero chiesto e per noi è un debito.


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