Non so dire se la vita di Gustavo Gutierrez sia stato un canto ma sicuramente è grido. In nome degli impoveriti/empobrecidos e degli esclusi. È stata rivoluzione.
Perché non può essere eresia la vita di chi è schiacciato dall'ingiustizia. La teologia della liberazione, che lo celebra come padre, ha detto semplicemente che il sogno di Dio rivelatosi in Gesù di Nazareth è di riconoscere la dignità di ciascuno dei suoi figli che si riscoprono fratelli. Le parole "rassegnazione", "sottomissione", "schiavitù" e "oppressione" non hanno condominio nel Vangelo di Cristo e la povertà è una parola nobile da sposare mentre la miseria è una maledizione che non ammette giustificazioni. "Il grido del mio popolo è giunto fino alle mie orecchie" dice Dio. Per questo la teologia della liberazione non è un altro genitivo del pensiero su/di Dio ma piuttosto il tentativo di dare parola al sogno stesso di Dio, al suo amore per tutte le creature. Se una teologia non è della liberazione che teologia è? Per la prima volta i poveri si sono seduti in cattedra a spiegare la Bibbia. Senza parole se non quelle della vita e dell'esodo. Questo è stato il parto di Gustavo Gutierrez che ha tracciato una strada che ora non si ferma più perché scorre per mille rivoli con nomi e contesti diversi ma sempre come grido, canto e cammino di liberazione.
Leggi anche:
"Medellìn, 50 anni dopo", di Cristiano Morsolin
"Infome final", di Vittorio Bellavite
"Profeta della Resurrezione", di Tonio Dell'Olio