Chiamatelo pure ambiente, natura, ecosistema, creato o creazione, purché ce l’abbiate a cuore e portiate rispetto.

Che poi è rispetto per noi stessi che ne siamo parte e non cosa altra. Lo diciamo a 10 anni da quell’enciclica gettata nelle coscienze di credenti e non-credenti come una sfida e una provocazione e non come un semplice trattato asettico sui rischi che corrono animali, vegetali, aria e acqua. Come Francesco d’Assisi, anche il papa argentino volle prestare la sua voce alla terra e a tutti i suoi abitanti, alle acque e all’aria perché il loro grido si sentisse più lontano. E giungesse anche agli orecchi dei terrapiattisti e dei governanti, dei negazionisti del cambiamento climatico e a quelli dello sfruttamento indiscriminato d’ogni risorsa del suolo e sottosuolo. L’enciclica Laudato si’ è denuncia e canto, pianto e danza ma soprattutto scuote le coscienze e dice che qualcosa bisogna fare. Che non basta correre ai ripari, ovvero rattoppare la tela lacerata della meraviglia biodiversificata, ma che bisogna sentirsi parte del tutto perché tutto è interconnesso e che ogni battito d’ali può trovare un’eco di bellezza anche lontano e dentro di noi perché nulla di tutto ciò che abita la terra è estraneo a noi stessi e nulla ci appartiene come proprietà. Ogni cosa – anche la più piccola – è un dire grazie col canto o col profumo, coi colori e con la dolcezza dei suoi frutti. 


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