Non posso nascondere che mi ha destato molta impressione constatare che il giorno del “disastro ferroviario” di Pioltello la notizia era ampiamente presentata e commentata con foto in prima pagina di tutti i giornali cartacei, di tutte le testate televisive e dei siti informativi in rete, ma che il giorno dopo si faceva fatica a rintracciarne ancora la presenza, a raccoglierne qualche sviluppo. Giusto come cronaca riferisco che nelle pagine de La Repubblica la notizia era scivolata a pagina 16.

“È l'informazione, bellezza!” potreste rispondermi e avrete anche ragione, perché senz'altro la cosa obbedisce alle stringenti regole della comunicazione giornalistica secondo le quali chiodo schiaccia chiodo e che la gente ha bisogno sempre di una vittima più fresca su cui poter versare lacrime. Ma guai a noi a rassegnarci a questa barbarie della mente e delle emozioni! Mi appare come un degrado dell'anima per il quale le vittime sono “notiziabili” secondo rigide coordinate spazio-temporali ovvero se sono recentissime e se sono vicine. Pertanto, i morti in Yemen e in Afghanistan, anche se sono quantitativamente più numerose, non sono importanti quanto un morto francese o uno lombardo e il morto del giorno prima deve essere servito caldo a dispetto dei venti dell'altro ieri! Peccato! Perché il disastro ferroviario, ad esempio, poteva anche servire a raccontare la quotidianità dell'Italia pendolare, dell'affollamento di vagoni ferroviari e metropolitani, del disagio che potrebbe far rumore se solo solo si considerassero anche le vittime dello stillicidio di questo stile di vita.


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