Mi raggiunge la notizia della morte di Ermanno Olmi. Lascio da parte quel che avevo immaginato di scrivere per oggi per dedicarmi a tentare di dire una parola su quest'uomo tanto ispirato e autentico.
Perché non è moneta corrente che la storia contempli l'azione di registi ispirati e creativamente geniali come Olmi. Non è frequente per niente. E i suoi film hanno dato la parola agli ultimi. Hanno trasformato in poesia il dolore e la quotidianità senza cedere un frammento alla retorica né un granello alla verità nuda di storie solo apparentemente anonime e minori. Ermanno Olmi è stato un credente che ha fatto parlare il Vangelo nel dialetto dei poveri, per restare fedele all'uno e agli altri e perché l'uno e gli altri aprissero gli occhi sulla loro parentela tanto stretta. Con troppa retorica, in questi casi, ripetiamo che “con lui se ne va un mondo” e anche un modo di interpretarlo. Al contrario, a me piacerebbe tanto poter immaginare che la sua assenza è colmata da un diffondersi di coraggio nel cuore di centinaia di giovani, pronti a raccogliere la sfida di mettersi dietro una macchina da presa o di fotografia, davanti a una tela o semplicemente di fronte a un foglio bianco per poter raccontare il proprio tempo dalla finestra del sogno che, quando è autentico, non tradisce mai la verità delle cose. Se il maestro Ermanno Olmi compisse anche questo prodigio, la sua lezione traboccherebbe finalmente nelle mani, oltre che nell'anima del futuro.