Il 26 aprile 1919 nasceva Adriana Zarri, una donna che, dall'osservatorio privilegiato del suo eremo, ci ha aperto alla comprensione delle cose di Dio.  

Non finiremo mai di esserle grati per le sue riflessioni profonde e provocatorie che però sono stati dei fari nella navigazione di vita di tanti. Mi piace ricordarla con i versi delle sue indicazioni ultime: 

“Non mi vestite di nero: è triste e funebre.

Non mi vestite di bianco: è superbo e retorico.

Vestitemi a fiori gialli e rossi e con ali di uccelli.

E tu, Signore, guarda le mie mani.

Forse c’è una corona.

Forse ci hanno messo una croce.

Hanno sbagliato.

In mano ho foglie verdi e sulla croce, la tua resurrezione.

E, sulla tomba, non mi mettete marmo freddo con sopra le solite bugie

che consolano i vivi.

Lasciate solo la terra che scriva, a primavera, un’epigrafe d’erba.

E dirà che ho vissuto, che attendo.

E scriverà il mio nome e il tuo, uniti come due bocche di papaveri”.


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