Quando il 18 agosto 1938, in Piazza Unità d'Italia, a Trieste, Mussolini diede l'annuncio ufficiale dell'entrata in Italia delle leggi razziali, la folla applaudiva. Applaudiva ma non aveva ragione.

Il 5 agosto di quell’anno era uscito il primo numero de La difesa della razza, un giornale diretto da Telesio Interlandi, che contava su un giovane Giorgio Almirante come segretario di redazione. Quella rivista vendeva migliaia di copie e raggiungeva altrettanti cervelli che condividevano il razzismo che grondava da quelle pagine. Erano migliaia ma non avevano ragione. Nel primo numero si legge: “È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. (…) La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano nordico”. E anche il Manifesto della razza non fu contestato che da una sporadica minoranza di docenti universitari. Erano tanti i ricercatori a dare fondamento scientifico al razzismo ma non avevano ragione. Perché nella storia, a volte, sono state esperienze e visioni minoritarie a rivelare lo sguardo più lungo e più profondo. Per questo non bisogna deprimersi mai per il semplice fatto d'esser parte di una minoranza.


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