Non chiedetemi quale divertimento ci possa essere nel darsi appuntamenti tra sconosciuti con l'esclusivo intento di picchiarsi. Non saprei rispondere. Eppure le cronache ci riferiscono che questo è quanto è venuto alla luce, qualche giorno fa, a Piacenza, con la segnalazione di ben 63 adolescenti che sono incorsi in questo tipo di reato.

E, a quanto pare, non si tratta affatto di un fenomeno isolato. Lo chiamano "Fight club". Forse è la tragica attrazione della violenza. Oppure semplicemente il distillato acerbo della noia che spesso ritorna con pietre dal cavalcavia, giochi estremi e feeling col suicidio. E se invece, molto più banalmente, fosse il bisogno di un contatto molto fisico in una vita ad altissima percentuale virtuale, in cui svanisce la dimensione essenziale dell'incontro e del riconoscersi in carne ed ossa? Come sempre, al di là della condanna, un mondo degli adulti attento dovrebbe essere capace di guardare in profondità a un fenomeno che forse è un grido, una richiesta, un modo, scemo e drammatico insieme, di attirare l'attenzione e di cercare di recuperare un tempo e uno spazio che viene continuamente sottratto al vissuto dei più giovani. E lascia, ancora una volta, un vuoto che attende d'essere riempito.

 


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