Tutte le parole che vorrei provare a pronunciare con la tastiera mi si congelano sulle dita. Non riesco a commentare le ragioni del dolore, della morte, della distruzione abbattutesi sui cristiani inermi dello Sri Lanka senza pensare al sangue versato.

E di fronte allo spargimento di sangue ogni commento appare più che superfluo e inutile, risuona quasi come un'offesa. Non si deve poter disquisire di fondamentalismi e di politica strabica, di dèi violenti e di una caricatura delle fedi trasformate in fanatismo assassino. C'è troppo dolore. Nelle vittime e nei loro familiari, così come nei feriti nel corpo e nello spirito. Penso ai bambini che tremeranno per tutta la vita ogni volta che qualcosa ricorderà loro quel momento terribile. Il fragore, i corpi straziati, l'odore del sangue, i volti terrorizzati, la mano tenuta al padre durante la messa e che si stringe quasi a rompere quella più piccola, il tremore nelle gambe che non ti dà pace, le preghiere strozzate. Il silenzio vuoto e poi quel fischio che resta nelle orecchie e non ti permette di sentire più nulla per molto tempo. Il sangue, troppo sangue. Un fiume che implora una diga. Perché non può essere un uomo a pianificare di infliggere un dolore così forte. Perché?


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