Cadere nella trappola di misurarsi in una competizione di prova muscolare di solidarietà è la peggiore delle tentazioni possibili.

Ma soltanto per chiarire, a chi non ne ha idea, che i centri d'ascolto promossi dalle Caritas e gli stessi uffici parrocchiali distribuiti capillarmente in tutto il territorio nazionale sono quotidianamente frequentati da persone che, vincendo pudore e umiliazioni, rossi in volto, chiedono al parroco o all'operatore di solidarietà, di pagare una bolletta. Perché non ce la fanno. Perché fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Perché hanno perso il lavoro o non ne hanno mai avuto uno regolare. A volte arrivano quando gli avvisi di pagamento si sono moltiplicati e i diritti di mora sono già parecchio alti. E, ripeto, questa è l'assoluta normale quotidianità di chi si pone al servizio di persone scartate dal mondo del lavoro, a volte dolorosamente abbandonate anche dalla famiglia, e sicuramente date per spacciate anche da uno Stato che non ne conosce nemmeno l'esistenza in vita. Per tutte queste ragioni è assolutamente fuori luogo il richiamo sarcastico al Vaticano affinché paghi la bolletta dei morosi dell'ex palazzo Inpdap di via Santa Croce in Gerusalemme 55 in Roma. Ma non ci si meraviglia dal momento che ormai da molto tempo si insinua tra le pieghe di tante prese di posizione tanto la criminalizzazione della miseria, quanto la colpevolizzazione della solidarietà.


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